quinta-feira, 31 de julho de 2014

Le 'pazze' orbite dei pianeti scritte nelle stelle

Rappresentazione artistica della doppia culla di pianeti intorno alle stelle di un sistema binario (fonte: B. Saxton - NRAO/AUI/NSF; K. Stapelfeldt et al. - NASA/ESA Hubble)


Sono scritte nelle stelle, le stravaganti orbite che caratterizzano molti dei pianeti esterni al Sistema Solare. Il loro orientamento nello spazio è spesso determinato fin dalla nascita dall'influenza esercitata dalle stelle che si trovano nelle vicinanze. La scoperta, pubblicata su Nature, è frutto dello studio di due culle di pianeti poste intorno alle stelle di un sistema binario: a fotografarle, con una nitidezza senza precedenti, è il telescopio Alma dello European Southern Observatory (Eso) in Cile.

Il suo mirino è stato puntato su due stelle del sistema HK Tauri, posto a 450 anni luce dalla Terra. Le due stelle hanno meno di 5 milioni di anni e distano l'una dall'altra circa 58 miliardi di chilometri. La stella più debole, HK Tauri B, è circondata da un disco protoplanetario visto di taglio che blocca la luce stellare e permette perciò agli astronomi di avere una buona visuale sul disco. Anche la stella compagna, HK Tauri A, possiede un disco, ma in questo caso non blocca la luce della stella. Questo evidente disallineamento ha permesso di capire meglio come nascono i pianeti in un ambiente così complesso come quello dei sistemi binari (dove si formano la maggior parte delle stelle, a differenza del nostro solitario Sole).

''I nostri risultati ci mostrano che esistono le condizioni necessarie per modificare le orbite del pianeti e che queste condizioni sono già presenti nel momento in cui i pianeti di formano, apparentemente a causa del processo stesso di formazione del sistema binario'', spiega l'astronomo Eric Jensen dello Swarthmore College in Pennsylvania, tra gli autori dello studio. 

Guardando al futuro, i ricercatori vogliono capire quanto sia diffuso questo tipo di sistema. ''Anche se comprendere questo meccanismo è un grande passo avanti - precisa Jensen - non può spiegare tutte le bizzarre orbite dei pianeti extrasolari: non ci sono abbastanza compagne binarie perchè questa sia la risposta completa. E' un rompicapo ancora da risolvere''.


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La Luna modellata dall'abbraccio con la Terra

La forma a 'limone' della Luna è stata modellata dall'abbraccio con la Terra (fonte: NASA/Sean Smith)



La stravagante forma 'a limone' della Luna è stata modellata nelle primissime fasi della sua evoluzione dall'abbraccio con la Terra: lo dimostra lo studio combinato della topografia e del campo gravitazionale del nostro satellite, pubblicato su Nature dai ricercatori dell'università della California a Santa Cruz.

Secondo questa nuova ricostruzione, l'attrazione esercitata dalla Terra avrebbe modellato la forma della Luna 'bambina' in due fasi. La prima e più importante risale a circa 4,4 miliardi di anni fa, quando la crosta esterna del nostro satellite galleggiava sulla roccia fusa sottostante ed era ancora molto malleabile: la forza di attrazione della Terra, combinata con la rotazione della Luna, avrebbe generato una frizione e un surriscaldamento della crosta lunare tale da modificarne la distribuzione, rendendola più sottile ai poli e più spessa nelle regioni allineate con la Terra.

Ciò avrebbe alterato di conseguenza il campo gravitazionale del satellite. La seconda fase del modellamento risale invece a circa 4 miliardi di anni fa, quando la Luna ha cominciato a raffreddarsi e a solidificarsi allontanandosi dalla Terra. ''Immaginate un palloncino pieno d'acqua mentre ruota'', spiega il coordinatore dello studio, Ian Garrick-Bethell.

''Questo inizia ad appiattirsi ai poli e a rigonfiarsi all'equatore. In aggiunta avete delle correnti generate dall'attrazione gravitazionale della Terra, e così si genera una forma a limone con l'asse maggiore che punta verso la Terra''. I ricercatori hanno anche scoperto che la distribuzione della massa sulla Luna è così cambiata nel tempo che oggi il campo gravitazionale risulta non allineato ma inclinato di 34 gradi rispetto all'asse principale del 'limone'. Questo significa che la faccia della Luna visibile dalla Terra non è più quella di un tempo, ma è leggermente spostata.


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Ricostruiti gli Inferi, ecco la Terra sconvolta dagli asteroidi


Rappresentazione artistica della superficie della Terra primitiva, segnata dagli impatti degli asteroidi; sullo sfondo la Luna (fonte: Simone Marchi)


Distese d'acqua in ebollizione e roccia fusa sotto il continuo bombardamento di asteroidi e comete, con impatti fino a 10.000 volte più violenti di quello che ha cancellato i dinosauri: era questa la Terra circa quattro miliardi di anni fa, nell'Adeano, il periodo il cui nome deriva dal greco 'Ade', ossia 'Inferi'. Ad esplorarlo, ricostruendo per la prima volta il numero e l'energia degli impatti, è la ricerca coordinata dall'italiano Simone Marchi, del Southwest Research Institute di Boulder (Colorado), pubblicata sula rivista Nature.

''Sapevamo che durante l'Adeano la Terra è stata bombardata da asteroidi e comete, ma finora non conoscevamo ne' il numero degli impatti ne' le loro dimensioni'', osserva Marchi. Questo perchè, spiega, ''mancano testimonianze geologiche di quegli eventi''. Sono infatti pochissime le rocce che conservano la memoria di quell'epoca: le più antiche finora trovate hanno soltanto 3,8 miliardi di anni.

Così il gruppo di Marchi ha combinato dati provenienti da ambiti diversi. Il punto di riferimento principale è la Luna, con le miriadi di crateri che costellano la sua superficie, ''è un testimone perfetto per ricostruire le collisioni che hanno segnato l'evoluzione della crosta terrestre'', osserva il ricercatore. Si sono rivelati utili anche i meteoriti e la distribuzione degli zirconi, i minuscoli minerali che si formano nella roccia fusa e che si cristallizzano in determinati intervalli di temperatura.

Tutti insieme, i dati forniti da questi elementi hanno permesso di ottenere un modello dinamico dei tempi e delle dimensioni degli impatti che hanno sconvolto la Terra e ne hanno 'ridisegnato' più volte la superficie, facendo fondere e ricompattare le rocce, e facendo bollire ed evaporare gli oceani.
Alcuni degli asteroidi caduti sulla Terra avevano un diametro di 10 chilometri e oltre, ma anche oggetti dal diametro di 5 chilometri potevano rilasciare una quantità di energia tale da far bollire gli oceani, 'sterilizzando' il pianeta.

Ci sono stati poi impatti straordinariamente violenti. Per esempio è probabile che almeno quattro volte durante l'Adeano si siano abbattuti sulla Terra asteroidi dal diametro maggiore a mille chilometri. Fra tre e sette potrebbero essere stati invece gli impatti di asteroidi dal diametro superiore a 500 chilometri, l'ultimo dei quali avvenuto circa quattro miliardi di anni fa. 

L'ipotesi dei ricercatori è che la vita sulla Terra possa essere comparsa più volte. Potrebbe, per esempio, essere emersa già nell'Adeano, nelle pochissime terre emerse risparmiate dagli impatti, con forme capaci di resistere alle condizioni estreme che esistevano allora.


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quarta-feira, 30 de julho de 2014

Aurora boreal cria 'show de luzes' no Canadá



Da BBC - uzes aparecem pairando acima das teepees - as tendas de lona típicas dos povos nativos da região - formando um cenário deslumbrante. Todo ano, milhares de turistas viajam até a capital do Território Noroeste do país para ver o fenômeno.
A aurora boreal é resultado da energia liberada por campos magnéticos solares. Na Terra, essa energia interage com oxigênio e nitrogênio para produzir um show de luzes vermelhas, verdes e roxas.

Scoperti 101 geyser su una luna di Saturno

Sono ben 101 i geyser scoperti su una delle più misteriose lune di Saturno, Encelado, e le prime analisi suggeriscono la possibilità che attraverso essi l'acqua liquida dell'oceano nascosto sotto i ghiacci possa raggiungere la superficie. La scoperta, pubblicata in due articoli sull'Astronomical Journal, si deve ai dati raccolti dalla sonda Cassini, nata dalla collaborazione fra Nasa, Agenzia Spaziale Europea (Esa) e Agenzia Spaziale Italiana (Asi).

Le osservazioni sono state condotte negli ultimi sette anni nell'area del Polo Sud della piccola luna ghiacciata, una zona da tempo all'attenzione degli studiosi a causa delle strane fratture che, viste dall'alto, ricordano le strisce di una tigre. E' in questa zona che nel 2005 sono stati osservati i primi geyser che portano in superficie particelle di ghiaccio e vapore acqueo. Adesso la mappa è stata completata, con la localizzazione di 101 geyser nel Polo Sud di Encelado. 

Per localizzarli i ricercatori hanno utilizzato la stessa tecnica della triangolazione applicata normalmente sulla Terra per localizzare strutture geologiche, come le montagne. La mappa è stata confrontata con i dati raccolti dalla sonda Cassini a partire dal 2010 e relativi alla localizzazione di punti nei quali la temperatura era particolarmente calda, piccole aree estese non più di una decina di metri formate in seguito alla condensazione del vapore in fratture nello strato di ghiaccio, in prossimità della superficie.

E' in queste formazioni che i ricercatori hanno visto il meccanismo all'origine dei geyser. ''I nuovi dati indicano che i geyser non sono un fenomeno che avviene in superficie, ma che ha radici in profondità'', osserva la coordinatrice di una delle due ricerche, Carolyn Porco, dello Space Science Institute di Boulder. Sono in particolare i dati sulla gravità a mostrare che l'unica possibile sorgente del materiale che forma i geyser è l'oceano che si trova sotto la superficie ghiacciata di Encelado.


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Lanciata l'ultima navetta europea Atv



E' stata lanciata con successo la quinta e ultima navetta cargo senza equipaggio Atv-5 'Georges Lemaitre' dell'Agenzia spaziale europea (Esa), con l'obiettivo di rifornire la Stazione spaziale internazionale (Iss). Il lancio è avvenuto alle 20:47 ora locale (l'1:47 in Italia) dalla spazioporto di Kourou, nella Guyana Francese, con un lanciatore Ariane-5.

La missione della Atv-5, dedicata al fisico belga Georges Lemaitre 'padre' della teoria del Big Bang, chiuderà tra sei mesi l'esperienza di successo delle navette cargo automatizzate Automated Transfer Vehicle (Atv), costruite per rifornire la Stazione Spaziale. Per questo la lunga scia luminosa del razzo è stata accompagnata da un lungo applauso, ma anche da un po' tristezza.

Lla Atv-5 ha dispiegato i pannelli solari e inviato i primi segnali a terra, nei prossimi dieci giorni proseguirà lungo la sua rotta 'all'inseguimento' della Stazione Spaziale, fino a compiere una spettacolare manovra di attracco in maniera autonoma.
La navetta ha un carico record di 2,6 tonnellate di materiale, tra cui cibo, acqua, ossigeno e attrezzature di ricerca, per rifornire l'equipaggio in orbita. Tra gli esperimenti scientifici trasportati ci sono anche numerose componenti destinati al levitatore elettromagnetico, un'apparecchiatura che consente la fusione e la solidificazione dei metalli in assenza di gravità.

Dopo essere stata svuotata del carico, la Atv diventerà per circa sei mesi un 'monolocale' aggiunto della stazione orbitale, aumentando quindi la spazio disponibile agli astronauti, e grazie ai suoi motori 'correggerà' l'orbita dell'intera Stazione Spaziale. Al termine della missione sarà riempita di materiali ormai inutili e spazzatura per poi procedere a una manovra di rientro, che la porterà a disintegrarsi nell'atmosfera.

Avio, successo della tecnologia italiana
Il lancio della navetta Atv è stato anche un successo della tecnologia italiana, rileva Pier Giuliano Lasagni, amministratore delegato della Avio, l'azienda che partecipa al lanciatore Ariane 5, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), per circa il 15% con la realizzazione della turbopompa a ossigeno liquido per il motore criogenico Vulcain e dei due motori laterali a propellente solido.
"Siamo molto soddisfatti per questo nuovo traguardo raggiunto, ennesima dimostrazione dell'eccellenza dei nostri prodotti'', osserva Lasagni. ''Viene confermato ancora una volta - aggiunge - l'alto livello raggiunto dalla tecnologia italiana nel settore aerospaziale grazie anche allo sforzo, all'impegno e alle altissime competenze di tutto il team di Avio di Colleferro, Rivalta e Kourou''.
L'augurio, per Lasagni, è che ''la grande passione che ci ha guidato in questi anni possa trovare positivo riscontro nell'adesione da parte dell'Italia alla Seconda Fase del programma di sviluppo e qualifica di Ariane 6 nel corso della Conferenza per lo Spazio dei Ministri dei Paesi membri dell'Esa che si terrà entro la fine del 2014".


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La Via Lattea è più piccola del previsto


La Via Lattea è più piccola del previsto: lo indica la prima misura precisa della massa della nostra galassia eseguita dai ricercatori dell'università di EdiMburgo. Il loro studio, pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, dimostra che la Via Lattea 'pesa' addirittura la metà rispetto alla sua vicina di casa Andromeda, che ha più o meno struttura e dimensioni simili.

Il 'sovrappeso' di Andromeda potrebbe essere dovuto alla materia oscura, ovvero quella misteriosa materia invisibile che costituisce il 25% dell'universo. Sarebbe questa materia sfuggente a costituire gran parte delle regioni più esterne delle galassie. Secondo le stime dei ricercatori, Andromeda contiene il doppio della materia oscura della Via Lattea, e per questo motivo sarebbe due volte più 'pesante'.ua vicina di casa Andromeda, che ha più o meno struttura e dimensioni simili.

''Abbiamo sempre sospettato che Andromeda fosse più massiva della Via Lattea - afferma il coordinatore dello studio Jorge Penarrubia - ma pesare entrambe le galassie simultaneamente è stato molto complicato. Per riuscirci, abbiamo combinato le più recenti misure sul moto relativo delle due galassie con il più vasto catalogo di galassie vicine mai compilato''.

Questo studio è il primo a rivelare il 'peso' totale delle galassie misurando non solo la massa contenuta nelle regioni più interne, ma anche la massa della materia invisibile che si trova nelle regioni più esterne. Secondo le stime degli astrofisici, il 90% della materia di entrambe le galassie è invisibile. I risultati della ricerca aiuteranno a fare luce sulla struttura delle regioni più esterne delle galassie. I dati emersi, inoltre, rappresentano un'ulteriore conferma della teoria dell'espansione dell'universo.


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terça-feira, 29 de julho de 2014

Chuva de meteoros visível no país atinge pico nesta madrugada

Horário ideal para observar a Delta Aquarídeos do Sul é entre 2h e 4h.
Visibilidade é melhor em áreas de céu limpo e longe das luzes da cidade.


Do G1, em São Paulo
Meteoro cruza o céu sobre o deserto de Mojave (Foto: AstroPics.com, Wally Pacholka / AP)Chuva de meteoros atinge seu máximo nesta noite
(Foto: AstroPics.com, Wally Pacholka / AP)
Nesta madrugada, de terça para quarta-feira (30), uma chuva de meteoros visível a partir do Hemisfério Sul deve atingir seu pico. Trata-se da Delta Aquarídeos do Sul, que começou a ser visível em 21 de julho e se estende até o dia 23 de agosto.
De acordo com a Sociedade Americana de Meteoros, os meteoros da Delta Aquarídeos devem atingir a atmosfera a uma velocidade de 145 mil km/h. A expectativa é que possam ser vistos de 15 a 20 meteoros por hora, em uma condição de céu limpo e longe da claridade dos grandes centros urbanos.
Este ano, ainda segundo a instituição, as condições lunares para observação do fenômeno são extremamente favoráveis. Neste pico, a lua deve se pôr bem antes da meia-noite, portanto sua luz não deve interferir na observação dos meteoros. Outra chuva de meteoros, a Alfa Capricornídeos, também deve ser visível nesta noite.
Para observar
De acordo com o astrônomo Cássio Barbosa, professor da Universidade do Vale do Paraíba e autor do blog Observatório, do G1, as dicas para conseguir observar os meteoros são as seguintes: primeiro, é preciso procurar um lugar escuro. "O radiante, ou seja, o ponto de onde os meteoros parecem surgir, está na constelação do Aquário. Ela já estará alta o suficiente por volta das 21 horas (horário de Brasília) na direção do Leste", explica Barbosa.

Segundo ele, o observador deve olhar para o alto do céu, que é a região mais escura e onde os meteoros vão se destacar mais.

sábado, 26 de julho de 2014

Morre no Rio o astrônomo carioca Ronaldo Mourão

Pesquisador tinha 79 anos e estava internado no Quinta D'Or.
Suas pesquisas são destaque no campo das estrelas duplas.

Do G1 Rio
Ronaldo Mourão - imagem Google
Morreu na noite desta sexta-feira (25), aos 79 anos, o astrônomo carioca Ronaldo Mourão. Ele estava internado no Quinta D’Or, em São Cristóvão, Zona Oeste do Rio. As causas da morte ainda não foram divulgadas.
Ronaldo Rogério de Freitas Mourão foi um dos mais importantes astrônomos no Brasil. As suas principais contribuições astronômicas foram efetuadas no campo das estrelas duplas, asteróides, cometas e estudos das técnicas de astrometria fotográfica.

Mourão ingressou na Universidade do Estado da Guanabara (atual UERJ) em 1956 e diplomou-se em Física quatro anos depois. No mesmo ano em que ingressou na universidade foi nomeado auxiliar de Astrônomo do Observatório Nacional.

Logo no início de suas atividades ele editou suas observações do planeta Marte feitas antes mesmo de sua admissão. Algumas delas foram reproduzidas em revistas estrangeiras importantes da astronomia.
Em 1967 ele concluiu o doutorado na Universidade de Paris com menção "Très Honorables". Em dezembro desse ano voltou para o Brasil, reassumindo suas funções como astrônomo no Observatório Nacional e de Pesquisador no Conselho Nacional de Pesquisa. No ano seguinte foi nomeado Astrônomo-Chefe da Divisão de Equatoriais.
Mourão também elaborou todos os verbetes sobre Astronomia e Astronáutica do Novo Dicionário da Língua Portuguesa (1975 e 1986) de Aurélio Buarque de Holanda.
Em 1978, Mourão recebeu pelo conjunto de seus trabalhos, o Prêmio José Reis de divulgação científica, do Conselho Nacional de Desenvolvimento Científico e Tecnológico.
Nota do Observatório Astronômico Monoceros
Ronaldo Rogério de Freitas Mourão era membro da Diretoria do Observatório Monoceros na ára de Consultoria Científica.
Na foto, Mourão na Semana de Astronomia de Além Paraíba com a Presidente Lucimary Vargas
http://www.monoceros.xpg.com.br/fotos.htm




sexta-feira, 25 de julho de 2014

Scovare gli alieni andando a caccia di inquinamento


Anche gli alieni inquinano: può apparire banale, ma trovare un pianeta inquinato dimostrerebbe inequivocabilmente la presenza di vita 'intelligente'. Un gruppo di ricerca del Centro per l'Astrofisica Harvard-Smithsonian ha dimostrato, in uno studio pubblicato su The Astrophysical Journal, che la nuova generazione di telescopi spaziali saranno in grado di rilevare, in particolari condizioni, la presenza di inquinanti come i Cfc nell'atmosfera di pianeti extrasolari.

Lo studio per la ricerca di forme di vita aliena si concentra da sempre nell'individuare la presenza su altri pianeti dei cosiddetti mattoni fondamentali, come ossigeno metano oppure acqua. Si tratta di elementi che indicherebbero la possibile presenza di forme di vita ma che nulla ci direbbero che che tipo di esseri potrebbero essere presenti, se semplici microrganismi oppure creature intelligenti. 

Gli inquinanti, spiegano i ricercatori, sarebbero una prova di vita 'intelligente' anche se “forse civiltà più avanzate della nostra – ha spiegato Henry Lin, uno dei responsabili dello studio – potrebbero considerarlo in realtà come un segno di vita 'non-intelligente'. Non è infatti intelligente inquinare la propria aria”. A meno che questi alieni non siano iper-ecologisti, i ricercatori si dicono sicuri che in particolari condizioni il prossimo telescopio spaziale James Webb potrebbe individuare tracce di inquinamento alieno nei pianeti extra solari. I suoi strumenti saranno infatti in grado di individuare la presenza nell'atmosfera di clorofluorocarburi (Cfc) ma solo nell'atmosfera di pianeti che orbitano attorno a stelle nane bianche.

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Terra se salvou por pouco de forte tempestade solar em 2012, diz estudo


Da France Presse - Em 2012, uma erupção solar provocou uma poderosa tempestade que passou perto da Terra, mas que era grande o suficiente para "devolver a civilização moderna ao século 18", informou a Nasa. O fenômeno, que passou perto da órbita terrestre em 23 de julho de 2012, foi a tempestade mais poderosa dos últimos 150 anos, segundo comunicado publicado no site da agência espacial americana na quarta-feira. Na Terra, no entanto, ninguém se deu conta disso.

"Se a erupção tivesse acontecido uma semana antes, a Terra teria ficado na trajetória", disse Daniel Baker, professor de Física Atmosférica e Espacial da Universidade do Colorado.
Ao invés disso, a tempestade impactou a nave espacial STEREO-A spacecraft, um observatório solar equipado 'para medir parâmetros de eventos deste tipo', acrescentou a agência. Segundo dados analisados por cientistas, a tempestade teria sido comparável à última conhecida com o nome de Carrington e que aconteceu em 1859. Também teria sido duas vezes mais forte que a tempestade solar que deixou sem energia a província de Quebec, no Canadá, em 1989.
A Academia Nacional de Ciências avaliou que uma tempestade solar como a de 1859 poderia custar hoje US$ 3 bilhões e poderia levar anos de reparos. Os especialistas afirmam que as tempestades solares provocam apagões, o que bloqueia qualquer aparelho, de um rádio a um GPS, passando pelo fornecimento de água que depende de bombas elétricas."Com os últimos estudos, me convenci ainda mais de que os habitantes da Terra são incrivelmente sortudos por essa erupção de 2012 ter ocorrido como foi", disse Baker.

As tempestades costumam ser repelidas pelo escudo magnético da Terra, mas um impacto direto poderia ser devastador. Há 12% de probabilidades de que uma grande tempestade solar como a de Carrington atinja a Terra nos próximos dez anos, segundo o físico Pete Riley, que publicou recentemente um artigo na revista Space Weather sobre esse tema.
Sua pesquisa se baseou em uma análise de registros de tempestades solares nos últimos 50 anos.

quinta-feira, 24 de julho de 2014

Prima mappa della 'periferia' di una galassia

Osservato l'alone di stelle che circonda la galassia Centaurus A (fonte: ESA/Hubble, NASA, Digitized Sky Survey, MPG/ESO,Davide de Martin


Per la prima volta il telescopio spaziale Hubble ha osservato la periferia di una galassia, scoprendo che questo alone di stelle dai confini indefiniti è molto più esteso del previsto e ricca di elementi pesanti, come i principali 'ingredienti' delle stelle, idrogeno ed elio. La scoperta, in via di pubblicazione sull'Astrophysical Journal, si deve al gruppo dello European Southern Observatory (Eso) a Garching, coordinato da Marina Rejkuba. Ha collaborato l'italiana Laura Greggio, dell'Osservatorio di Padova dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf).

Nato dalla collaborazione tra la Nasa e l'Agenzia Spaziale Europea (Esa), il telescopio Hubble ha osservato la fascia di stelle che circonda la galassia ellittica gigante Centaurus A. Le immagini indicano che le stelle della periferia tracciano un alone che raggiunge una distanza dal centro della galassia molte volte superiore di quella attesa ed ha una forma irregolare. L'estensione di questa zona è tale che, secondo i ricercatori, può essere considerata un nuovo componente della galassia e avere un ruolo importantissimo. Potrebbe infatti custodirne la memoria della formazione e dell'evoluzione.

L'alone è così vasto da estendere di 16 volte il raggio finora noto della galassia, pari a 295.000 anni luce: una distanza considerevole, visto che il raggio della Via Lattea ha un diametro di 120.000 anni luce. ''Neppure a queste enormi distanze abbiamo ancora raggiunto i confini dell'alone di stelle, ne' siamo riusciti a individuare quelle più antiche'', osserva Greggio. Scoprirle sarebbe importante per conoscere i segreti della formazione delle galassie.


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Il 29 luglio il lancio della navetta Atv



E' stato fissato per il 29 luglio (le 1,44 del 30 luglio in Italia) il lancio dell'ultima delle navette europea senza equipaggio (Atv). Inizialmente previsto per il 24 luglio, il lancio era stato rinviato nei giorni scorsi per eseguire verifiche al sistema di lancio dell'Ariane 5.

La società che gestisce il lancio, Arianespace, rende noto che tutte le verifiche sono state completate ed è quindi possibile fissare la nuova data di lancio.



Dedicata al fisico Georges Lemaitre, la navetta dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa) porterà rifornimenti e materiali scientifici a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, alla quale resterà agganciata per sei mesi. La missione è la quinta e ultima delle navette Atv, costruite tra Germania e Italia, dalle aziende Eads Astrium e Thales Alenia Space


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Un laboratorio cosmico per studiare l'evoluzione delle stelle


L'ammasso stellare NGC 3293 (fonte: ESO)

È un vero e proprio laboratorio cosmico, l'ammasso stellare NGC 3293 nella costellazione della Carena: permetterà agli astronomi di capire meglio come si evolvono le stelle. Lo hanno scoperto i telescopi dello European Southern Observatory (Eso) sulle Ande cilene. 

L'ammasso stellare ha 'appena' 10 milioni di anni (è quindi giovanissimo, considerando che il nostro Sole ha quattro miliardi e mezzo di anni) e si trova a circa 8.000 anni luce dalla Terra ed è stato osservato per la prima volta nel 1751 dall'astronomo francese Nicolas-Louis de Lacaille. È uno degli ammassi più brillanti del cielo australe e si vede facilmente a occhio nudo in una notte buia e serena.

Ammassi di questo tipo contengono stelle che si sono formate più o meno nello stesso periodo, alla stessa distanza dalla Terra e dalla stessa nube di gas e polvere e perciò con la stessa composizione chimica. Sono quindi oggetti ideali per mettere alla prova le teorie sull'evoluzione stellare.

Gli astronomi ritengono che la maggior parte, se non la totalità delle 50 stelle di questo ammasso, si siano formate in un unico evento. Anche se queste stelle hanno tutte la stessa età, non tutte hanno lo stesso aspetto abbagliante di una stella durante la sua 'infanzia'. Alcune sembrano decisamente più vecchie, dando agli astronomi la possibilità di esplorare come e perché le stelle si possano evolvere con ritmi diversi.



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Pianeti extrasolari misteriosamente 'a secco'

Rappresentazione artistica di pianeta gigante esterno al Sistema Solare (fonte: Haven Giguere e Nikku Madhusudhan)


L'acqua sui pianeti extrasolari è 'misteriosamente' poca: sono le conclusioni ottenute dalla più precisa misurazione della quantità di acqua presente in un pianeta esterno al Sistema Solare. L'analisi dell'atmosfera di tre pianeti giganti, distanti dalla Terra tra 60 e 900 anni luce è stata realizzata dall'Università di Cambridge ed è pubblicata sull'Astrophysical Journal Letters. le nuove misure mettono in crisi la teoria di riferimento sulla formazione dei pianeti.

A scombinare i modelli dei planetologi sono i giganti gassosi, HD 189733b, HD 209458b e WASP-12b, che fanno parte della categoria cosiddetta dei 'Giove caldi' in quanto simili a Giove ma con una temperatura molto più alta. I dati ottenuti da Hubble, il telescopio spaziale della Nasa e dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), hanno infatti dimostrato che la loro atmosfera possiede tra dieci e mille volte meno acqua di quanto ipotizzato finora.

Le misure, le più precise di questo tipo mai eseguite, mettono in crisi le attuali teorie di riferimento sulla formazione dei pianeti. ''E' come aprire una scatola di vermi'', ha detto il responsabile dello studi, Nikku Madhusudhan. Le misure, ha aggiunto, ''creano infatti una situazione complicata: ci aspettavamo che questi pianeti avessero molta acqua nell'atmosfera. Ora dobbiamo rivedere i modelli di formazione e 'migrazione' dei pianeti giganti, in particolare dei Giove caldi, per comprendere come si sono formati".

La mancanza d'acqua però potrebbe anche essere spiegata dalla presenza di eventuali polveri o nubi che non permettono di analizzare la profondità dell'atmosfera. In ogni caso i dati dimostrano la grande sensibilità raggiunta dagli strumenti e fanno ben sperare sulla capacità futura, anche grazie ai successori di Hubble, di poter un giorno individuare possibili gemelli della Terra.


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quarta-feira, 23 de julho de 2014

Fapesp se une a consórcio global para construção de telescópio gigante

Acordo prevê que Fapesp invista US$ 40 milhões para participação de 4%.
Giant Magellan Telescope (GMT) terá diâmetro de 25 metros.


G1 em SP


Ilustração projeto de Giant Magellan Telescope (GMT): instrumento terá 7 espelhos primários de 8,4 metros de diâmetro cada um, totalizando 25 metros de diâmetro. (Foto: Giant Magellan Telescope/Divulgação)

A Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (Fapesp) decidiu se unir ao projeto do Giant Magellan Telescope (GMT) – telescópio gigante que deve ser instalado no Observatório Las Campanas, no Deserto do Atacama, no Chile. A informação foi confirmada pelo pesquisador Hernan Chaimovich, coordenador dos Centros de Pesquisa, Inovação e Difusão (CEPIDs) da Fapesp. Segundo ele, a decisão é resultado de mais de dois anos de avaliações.

O consórcio internacional firmado para a construção do GMT reúne atualmente 10 parceiros, entre eles instituições dos Estados Unidos, da Austrália e da Coreia. Mas, para financiar o projeto completo, o consórcio ainda buscava o apoio de novos parceiros. Pela proposta, a Fapesp tem de desembolsar US$ 40 milhões para se unir ao projeto e garantir uma participação de 4% no tempo de uso do telescópio por pesquisadores do estado de São Paulo. A previsão é que o GMT entre em funcionamento em cerca de 10 anos.

A função de telescópios da classe do GMT é identificar com detalhes as características de planetas e fenômenos cada vez mais distantes no universo.
Wendy Freedman, presidente do GMT, apresenta projeto na Fapesp, em São Paulo, nesta quarta-feira (13). (Foto: Eduardo Cesar/FAPESP)Wendy Freedman, presidente do GMT, apresenta
projeto na Fapesp, em São Paulo, em novembro de
2013. (Foto: Eduardo Cesar/FAPESP)
“Foi uma decisão tomada com muito cuidado, os pareceres científicos foram emitidos por assessores do mundo todo”, afirma Chaimovich. Em novembro do ano passado, representantes do projeto GMT vieram a São Paulo para participar de um workshop promovido pela Fapesp para apresentar detalhes do telescópio gigante para a comunidade científica do país.
Pesquisadores brasileiros da área de astronomia também apresentaram seus estudos durante o evento e demonstraram de que maneira o acesso ao GMT poderia contribuir para seus projetos.
“Houve todo um processo cujo resumo foi colocado para o Conselho Superior da Fapesp pelo diretor científico e, quem decide no fim, por ser um investimento importante, é o Conselho Superior”, diz Chaimovich. Segundo o pesquisador, está também em curso uma negociação entre a Fapesp e o Ministério da Ciência e Tecnologia (MCTI) para que o governo federal contribua com os custos da participação, para que pesquisadores de todos os estados brasileiros possam usufruir do telescópio.
Outros projetos
Existem outros dois projetos de telescópios gigantes no mundo: o European Extremely Large Telescope (E-ELT) e o Thirty Meter Telescope (TMT). O Brasil ainda decide atualmente se vai ou não ser um dos parceiros no projeto do E-ELT, coordenado pelo Observatório Europeu do Sul (ESO). Em 2010, o então ministro brasileiro da Ciência e Tecnologia, Sergio Rezende, assinou o contrato de adesão, mas o processo ainda precisa ser aprovado pelo Congresso Nacional.

Caso a participação brasileira seja aprovada, o custo de adesão inicial que o Brasil deve quitar é de 130 milhões de euros, fora as contribuições anuais que já passaram a ser contabilizadas desde 2010.
Adesão ao consórcio do GMT custa US$ 50 milhões. (Foto: Giant Magellan Telescope/Divulgação)Adesão ao consórcio do GMT custa US$ 40 milhões.
(Foto: Giant Magellan Telescope/Divulgação)
Atualmente, os pesquisadores brasileiros têm acesso a telescópios de 8 metros, que são considerados muito grandes. A próxima geração de telescópios, que são os gigantes, tem entre 25 metros (o GMT) e 39 metros (o E-ELT).
“Eles servem para ver as coisas em detalhes muito maiores. Com esse telescópio, teria como observar planetas do tipo da Terra, muito próximos a estrelas, que tivessem condições de desenvolver vida. Ou então ir cada vez mais longe, no fundo do universo e ver as primeiras galáxias se formando e ir voltando no tempo para ver como o universo começou a brilhar”, diz o astrônomo Cássio Barbosa, professor da Universidade do Vale do Paraíba (Univap)
Menos riscos
Para a pesquisadora Wendy Freedman, presidente do GMT, o projeto tem poucos riscos, já que os principais desafios técnicos já foram superados. O telescópio será constituído por 7 espelhos primários com 8,4 metros de diâmetro cada um. Cada um dos espelhos primários terá um espelho secundário correspondente, de diâmetro menor. O primeiro dos espelhos já foi desenvolvido, polido e testado. Dois outros espelhos estão em processo de fabricação e o material do quarto espelho já foi comprado.

“Nós já testamos os componentes primários de engenharia que serão usados no telescópio. Em termos de seu diâmetro, ele é menor. Por isso, no total, ele tem o menor custo e os menores riscos técnicos em comparação com os outros projetos”, disse Wendy, em novembro.
Ela afirma que a adesão ao projeto seria importante para os jovens pesquisadores brasileiros. “Haverá no máximo três telescópios gigantes no mundo e este estará na primeira linha. Será uma oportunidade incrível, especialmente para os astrônomos mais jovens do Brasil, que poderão estar na primeira linha da astronomia.”
GMT será construído no deserto do Atacama, no Chile. (Foto: Giant Magellan Telescope/Divulgação)



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