sábado, 30 de agosto de 2014

Centro espacial francês dá por perdidos os 2 primeiros satélites do Galileu

EFE | PARIS
Os dois primeiros satélites operacionais do sistema de navegação geoespacial europeu Galileu, situados em uma órbita errada, não servirão para o mesmo, segundo o representante no projeto e presidente do Centro Nacional de Estudos Espaciais ( ) da França, Jean-Yves Le Gall.

Enquanto a Agência Espacial Europeia (ESA, na sigla em inglês) se mostra prudente sobre o uso desses dois aparelhos, posicionados na sexta-feira passada em uma órbita errada e com os quais se tem contato da Terra, Le Gall foi muito mais taxativo ao indicar que não servirão para o sistema de navegação via satélite com o qual a Europa quer concorrer com o GPS dos Estados Unidos.
"Não serão recuperáveis (para a navegação) porque sua órbita não é circular como deveria ter sido e portanto não estão em boa situação em um plano orbital. Não poderão, portanto, servir à missão Galileu", disse o ex-astronauta em entrevista publicada pela revista "Usine Nouvelle".
Le Gall assinalou que, no entanto, "Doresa" e "Milena", o nome dos dois satélites, poderão servir para "fazer testes de órbita e validar seu funcionamento".
O responsável do centro espacial francês disse que "as consequências" deste erro "serão limitadas", embora possam provocar um atraso nos seguintes envios de satélites da constelação Galileu.
Para isso, assinalou, é preciso que se conheçam o mais rápido possível os motivos do erro, para poder continuar imediatamente com o programa de lançamento, que prevê um novo em dezembro próximo.
O Galileu deve ser constituído por 24 satélites, dos quais seis são de reposição, lembrou Le Gall.
À espera de conhecer as primeiras conclusões da comissão de investigação criada para analisar este erro, previstas para o próximo dia 8, Le Gall - que durante anos presidiu o consórcio de plataformas de lançamento espaciais Arianespace, responsável pelo mesmo - emitiu suas primeiras hipóteses.
"O mais provável é que a disfunção tenha acontecido no quarto estágio da Soyuz, chamado Fregat, que situa os satélites em sua órbita definitiva após duas impulsões consecutivas. Por um motivo ainda desconhecido, o segundo impulso não foi realizado na boa direção", disse.
Le Gall assinalou que o foguete russo Soyuz não é o culpado pelo erro, mas o sistema Fregat, concebido conjuntamente por russos e europeus.
Para o presidente do CNES se trata "de um erro de produção" que pode estar ligado aos problemas atravessados pela indústria espacial russa nos últimos anos.
"A comissão de investigação deve determinar se se trata de um elemento mal programado ou de um equipamento defeituoso", assinalou.

Scontro tra due grandi asteroidi, immortalati i loro resti


Rappresentazione artistica della collisione tra due grossi asteroidi (fonte: NASA/JPL-Caltech)



I resti dell'impatto tra due grandi asteroidi sono stati immortalati dal telescopio spaziale Spitzer della Nasa.

Lo scontro è avvenuto a 1.200 anni luce da noi nella costellazione delle Vele, in prossimità di una giovane stella (chiamata NGC 2547-ID8) grande quanto il Sole. La collisione ha sollevato un enorme polverone: descritto su Science dai ricercatori dell'università dell'Arizona, potrebbe dare vita ad un pianeta roccioso attraverso una lunga 'gestazione', che verrà seguita passo dopo passo proprio attraverso gli 'occhi' a infrarossi di Spitzer.

Il telescopio della Nasa è il primo finora ad aver catturato uno scontro fra asteoridi quasi 'in diretta', documentando sia le fasi precedenti che quelle successive all'impatto. Spitzer aveva infatti iniziato a monitorare la stella NGC 2547-ID8 nell'agosto del 2012, e sarebbe riuscito a fotografare tutte le fasi dello scontro se nel momento clou non avesse dovuto spostare il proprio obiettivo a causa dell'interferenza del Sole. Quando il telescopio ha ripreso le osservazioni, cinque mesi più tardi, ha trovato davanti a sè uno scenario mozzafiato che ha sopreso gli stessi astrofisici. 

''Riteniamo che due grandi asteroidi si siano schiantati l'uno contro l'altro sollevando un'enorme nube di grani di polvere (simili ad una sabbia finissima) che si stanno frantumando allontanandosi lentamente dalla stella'', spiega il primo autore dello studio Huan Meng. I resti di questo scontro sono ora degli 'osservati speciali': spesso dalla loro aggregazione prende forma un nuovo pianeta. ''Stiamo assistendo alla formazione di un pianeta roccioso proprio sotto i nostri occhi'', afferma il ricercatore George Rieke. ''E' un'occasione unica - aggiunge - per studiare questo processo quasi in tempo reale''.


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Misurata la distanza delle Pleiadi


Ottenuta la misura più precisa della sistanza delle Pleiadi (fonte: NASA, ESA, AURA/Caltech, Palomar Observatory)



Sono 443 gli anni luce che separano la Terra dall'ammasso di stelle più vicino, quello delle Pleiadi. A misurarlo con una precisione senza precedenti è stata una rete mondiale di radiotelescopi, coordinata da Carl Melis, dell'università della California a San Diego, che ha usato degli speciali 'fari' cosmici (i quasar) come punti di riferimento.

Il risultato, pubblicato sulla rivista Science, corregge le misure effettuate da Hipparcos, il satellite lanciato nel 1989 dall'Agenzia spaziale europea (Esa): con i suoi strumenti aveva stabilito che le Pleiadi distassero 390 anni luce. Questa misura, ritenuta da principio la più precisa in assoluto, era poi stata messa in dubbio, dando vita ad un lungo dibattito a cui solo oggi viene posta la parola 'fine'.

La misura esatta della distanza delle Pleiadi ha un'importanza cruciale per gli astrofisici. Questo ammasso, formato da centinaia di giovani stelle, è infatti sempre stato considerato un vero e proprio 'laboratorio cosmico' in cui studiare e testare i modelli elaborati sulla nascita e l'evoluzione delle stelle. Sapere se dista 390 o 443 anni luce dalla Terra cambia moltissimo nella comprensione dei fenomeni stellari: basti pensare che molti astrofisici avevano dovuto rivedere le proprie ricerche alla luce delle misure di Hipparcos. I conti spesso non tornavano, e alcuni erano arrivati persino a ipotizzare che nelle stelle più giovani valessero regole di una fisica nuova e ancora sconosciuta. 

Gli esperti si interrogano ora sull'origine dell'errore di Hipparcos, dato che una tecnologia molto simile alla sua verrà usata anche dalla missione Gaia, lanciata dall'Esa lo scorso dicembre per mappare la Via Lattea misurando la distanza di quasi un miliardo di stelle. La rete di radiotelescopi potrà essere d'aiuto nel verificare la bontà dei dati raccolti dal satellite.


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