quinta-feira, 26 de março de 2015

Risolto il mistero dell'esplosione stellare del 1670

Non era una stella nova, ma i resti di una collisione stellare


La Nova 1670 è in realtà quello che resta di una collisione stellare (fonte: Tomasz Kaminski)



Gli astronomi europei, tra cui Hevelius e Cassini, la videro apparire nei loro cieli nel 1670 e la classificarono come una nuova stella, una 'nova'. Ma le osservazioni compiute con i telescopi di ultima generazione risolvono un enigma che dura da tre secoli: quella che finora è stata considerata la prima esplosione mai registrata di una stella nana è in realtà quello che resta della collisione fra due stelle. 

La scoperta, dei ricercatori coordinati da Tomasz Kaminski, dell'European Southern Observatory (Eso), è pubblicata sulla rivista Nature e costringerà a riscrivere i libri di astronomia.

Hevelius la descrisse come una nuova stella sotto la testa della costellazione del Cigno, anche se gli astronomi la conoscono come Nuova Volpetta 1670. Quando apparve per la prima volta, era visibile a occhio nudo e rimase luminosa per almeno due anni. Poi riapparve e scomparve due volte prima di svanire del tutto.

Anche se l'evento fu ben documentato per la prima volta, gli astronomi dell'epoca non disponevano degli strumenti idonei per risolvere l'enigma rappresentato dal particolare comportamento di quella che sembrava una nova. 

Le nuove osservazioni realizzate con Apex e altri telesconi, che usano misurazioni submillimetriche, hanno dimostrato che le cose sono molto diverse da come si è creduto finora. ''Abbiamo esplorato l'area con onde radio e submillimetriche, scoprendo che i resti circostanti sono immersi in un gas freddo ricco di molecole, con un'insolita composizione chimica'', spiega Kaminski.

I ricercatori hanno visto che la massa di materiale freddo era troppo grande per essere il prodotta dell'esplosione di una nova, e che il rapporto degli isotopi misurati intorno a Volpetta 1670 era diverso da quello che ci aspetta normalmente da una nova. 

Se dunque non era una nova, cosa poteva essere? Da qui la risposta: una spettacolare collisione tra due stelle, più brillante di una nova ma meno di una supernova. Si tratta di eventi molto rari in cui le stelle esplodono per la fusione con un'altra stella, sputando fuori materiale dal nucleo nello spazio, e lasciandosi dietro solo deboli tracce contenute in un ambiente freddo.
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Scoperta la 'voce' delle stelle

Potrebbero cantare come delfini, su frequenze altissime

Scoperta la 'voce' delle stelle (fonte: NASA/C. Reed)


Le stelle ci 'parlano'. O meglio, come le sirene, hanno un loro canto, a frequenze altissime e non udibili dall'orecchio umano nè da qualsiasi mammifero, ma che esiste e ricorda in qualche modo quello emessi da pipistrelli e delfini. Dopo il suono di Saturno spedito a Terra dalla sonda Cassini e i crepitii delle pulsar, gli astrofisici dell'università di York, guidati da John Pasley, hanno dimostrato con un esperimento che tutte le stelle possono emettere delle onde sonore.


Pubblicata sulla rivista Physical Review Letters, la ricerca ha analizzato il movimento del plasma generato da un laser molto intenso. I ricercatori hanno potuto osservare in questo modo un fenomeno inaspettato: il passaggio da zone più dense a zone meno dense del plasma ha generato impulsi simili a onde sonore, un trilionesimo di secondo dopo che il laser colpiva il plasma. Il suono generato è però ad una frequenza così alta, un trilionesimo di hertz appunto, che creerebbe problemi perfino a pipistrelli e delfini ed è vicino alla massima frequenza possibile mai raggiunta in un materiale: ben 6 milioni di volte più alta di quella udibile da qualsiasi mammifero. ''Uno dei pochi luoghi in natura dove crediamo si possa verificare questo effetto - spiega Pasley - è sulla superficie delle stelle.

Quando accumulano nuovi materiali, le stelle generano un suono in modo molto simile a quello che abbiamo ottenuto in laboratorio. Il che significa che le stelle possono cantare, ma dato che il suono non può propagarsi nel vuoto dello spazio, nessuno può sentirle''. La tecnica usata dai ricercatori per osservare le onde sonore in laboratorio funziona in modo simile alla macchina fotografica dell'autovelox ed ha permesso di misurare in modo accurato il modo in cui il fluido si muove nel punto in cui è colpito dal laser su una scala di meno di mille miliardi di secondo.

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Osservata in diretta la nascita di una stella

E' un'eruzione di gas e polveri, somiglierà al Sole


La stella appena nata Hops 383 (fonte: E. Safron et al.; Background: NASA/JPL/T. Megeath, U-Toledo)


Per la prima volta è stata osservata in diretta la nascita di una stella. Il primo 'vagito' di questa stella, destinata a diventare come il Sole, è stato catturato dal telescopio spaziale della Nasa Spitzer. 

La scoperta, pubblicata sul The Astrophysical Journal Letters si deve al gruppo coordinato da Emily Safron, dell’università americana di Toledo. Le immagini mostrano un'eruzione di gas e polveri nel cuore di una nube appena collassata. La stella uscirà dalla sua 'prima infanzia' tra circa 150 mila anni, una fase considerata il primo stadio di sviluppo per stelle come il Sole.

Chiamata Hops 383, la stella neonata è lontana dalla Terra 1.400 anni luce. Si trova vicino alla nebulosa NGC 1977, nella costellazione di Orione, in una regione considerata la più attiva nursery stellare vicina alla nostra galassia, ricca di giovani stelle ancora incorporate nelle loro nubi natali. È stato possibile scovare la stella analizzando 300 bozzoli di gas che racchiudono stelle neonate scoperti dal telescopio spaziale Herschel dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa).

Le stelle, spiegano gli esperti, si formano dal collasso di nubi di gas freddo. Quando la nube collassa sotto il peso della sua stessa gravità, la regione centrale diventa più densa e più calda. Alla fine di questo processo, nasce una stella circondata da un disco di polveri che un giorno potrebbe sviluppare pianeti, asteroidi e comete. Tutto il sistema è incorporato in una fitto guscio di gas e polveri. Ed è proprio il gas che le circonda a far brillare le stelle appena nate. Prima di sviluppare la capacità di generare energia fondendo l'idrogeno in elio nel suo nucleo, i soli neonati brillano grazie all'energia liberata dalla contrazione del gas e delle polveri che li circondano.

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Osservato il respiro dei buchi neri

coperto il 'respiro' dei buchi neri (fonte: ©ESA/ATG medialab)



Osservato il 'respiro' di un gigantesco buco nero che si trova al centro di una galassia: il 'vento' che genera controlla in questo modo la formazione delle stelle. La scoperta, pubblicata su Nature, aiuta a far luce sul ruolo dei buchi neri come 'motori' che influenzano l'intera struttura delle galassie. Il risultato si deve al ricercatore italiano Francesco Trombesi, dell'Universita' del Maryland.

Si ipotizzava da tempo che a governare l'evoluzione delle grandi galassie fossero i giganteschi buchi neri presenti al loro centro: un'ipotesi che aveva pero' bisogno di conferme. Nonostante l'enorme attrazione gravitazionale, i buchi neri non avrebbero infatti la forza sufficiente per influenzare anche le regioni piu' esterne delle galassie, a farlo sarebbe il loro 'respiro'.

A confermarne l'esistenza, rilevando un doppio effetto combinato, e' stato il gruppo di ricerca guidato da Trombesi grazie ai dati relativi alle osservazioni della galassia IRAS F11119+3257 raccolti dal telescopio spaziale Herschel, dell'Agenzia Spaziale Europea (Esa), dal satellite a raggi X Suzaku, della Nasa e dell'agenzia spaziale giapponese Jaxa.

Le osservazioni hanno permesso di vedere contemporaneamente due fenomeni, il 'vento' generato dal buco nero nel momento in cui 'ingoia' la materia che lo circonda e la contemporanea emissione di particelle 'sparate' in tutte le direzioni. Un'azione combinata capace di modellare anche le regioni piu' esterne. Si tratta della prima conferma dell'esistenza di questo doppio fenomeno, finora previsto solo da modelli teorici, che aiuta a svelare i meccanismi che governano la formazione delle stelle all'interno delle galassie.


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Projeto da Nasa prevê envio de submarino para explorar mar de óleo em lua de Saturno


Paul Rincon

Pousar uma sonda na superfície de um cometa foi indiscutivelmente uma das mais audaciosas conquistas espaciais dos últimos tempos.
Mas uma missão que está sendo estudada pela Nasa, a agência espacial americana, pode desbancar esse feito.
Cientistas estão propondo enviar um submarino robô aos mares de óleo de Titã, uma lua de Saturno. Esses mares não são formados por água, mas por hidrocarbonetos como metano e etano.
Esses componentes existem em seu estado líquido naquela lua, onde a média de temperatura é de -180 ºC.
O plano é financiado por uma iniciativa chamada NIAC (sigla em inglês para Conceitos Inovadores e Avançados da Nasa), na qual os cientistas são incentivados a pensar de forma diferente.
"Isto é muito libertador. Você pode deixar sua imaginação correr solta", diz o cientista por trás do projeto, Ralph Lorenz. Ele explicou a ideia no Conferência de Ciência Lunar e Planetária, no Texas, Estados Unidos.
Ele disse acreditar que a missão é possível com os recursos, tempo e tecnologia certos.
Submarinos não tripulados, conhecidos genericamente como UUVs são usados amplamente para propósitos militares e também em buscas, exploração petrolífera e investigação científica. Assim, tecnologias existentes poderiam ser adaptadas para a missão.
NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Foto de Titã, a lua gelada de Saturno, colhida pela missão Cassini em 8 de janeiro de 2015, de uma distância de cerca de 1,9 milhões de quilômetros
Um dos aspectos mais impressionantes da proposta é uma ideia de levar o submarino a Titã usando uma versão da mininave espacial militar americana X-37B.
O submarino seria levado na área de carga da nave não tripulada. Os dois seriam lançados ao espaço em um foguete.
Uma vez em Titã, a espaçonave entraria na atmosfera pastosa da lua.

Frio intenso

O submarino poderia ser levado ao mar de duas formas possíveis. Em uma delas, o X-37B poderia abrir as portas de sua área de carga ainda em voo e liberar o submarino robô.
O aparelho então abriria um paraquedas para pousar na superfície do mar. Esse método já teria sido usado na Terra pelos Estados Unidos para lançar uma MOAB – a bomba não nuclear de maior capacidade explosiva já criada.
A alternativa seria a espaçonave pousar na superfície do mar e então abrir seu compartimento de carga, liberando o submarino antes de afundar.
A lua Titã se assemelha à Terra, porém em uma versão congelada – o que a torna um alvo atrativo para a exploração. Ela já foi visitada pela sonda Huygens, que atingiu a superfície em 2005.
Uma missão chamada Titan Mare Explorer (TiME), na qual Ralph Lorenz esteva envolvido, deveria ter retornado à lua com uma sonda flutuante que pousaria no mar para recolher dados.
A TiME foi um dos três projetos finalistas em um processo de escolha de missão espacial de baixo custo da Nasa (no qual o escolhido foi o projeto InSight, para Marte).
O novo conceito de missão para Titã combina os objetivos científicos da TiME com outros que se tornariam possíveis graças ao uso do submarino.
"Você poderia fazer tudo que uma missão como a TiME poderia ter feito, particularmente no litoral, com medições de tempo e composição da superfície, medição das ondas", disse Ralph Lorenz.
"Mas ela também possibilitaria fazer um mapeamento detalhado do fundo do mar, onde está guardado um registro rico da história do clima de Titã".

Medições

Desenho do submarino que seria usado para explorar Titan (Imagem: NASA/Glenn)
Espaçonave teria que orbitar Titan para possibilitar comunicações entre o submarino e a Terra
Nas regiões costeiras de Titã estão sedimentos deixados para trás quando hidrocarbonetos líquidos evaporam. Eles sugerem que o nível dos mares na lua subiram e desceram periodicamente.
Além disso, apesar dos mares de Titã estarem concentrados na sua parte norte, ciclos naturais determinados pelas propriedades orbitais da lua podem fazer com que esses corpos líquidos se movam entre os polos a cada 30 mil anos.
A exploração do submarino poderia inclusive lançar luz sobre a natureza do fundo do mar de Titã – incluindo a possibilidade de que ele seja formado por uma gigantesca cratera formada por impacto de asteroide.
Os cientistas também querem descobrir se os mares são ou não formados por camadas com diferentes composições de óleo.
O estudo NIAC, que custou US$ 100 mil, não identificou quais instrumentos seriam carregados pelo submarino. Mas um sonar, uma câmera e um sistema para coletar amostras do fundo do mar são candidatos óbvios.
Mas o uso do submarino também traria desafios, como por exemplo um problema enfrentado pelos submarinos militares chamado cavitação – no qual propulsores causam bolhas que acabam sendo captadas pelo sonar. Esse e outros fatores poderiam atrapalhar a leitura de dados pelos equipamentos.
Uma solução seria melhorar o design do submarino ou apenas usar o sonar quando o veículo estiver parado.

Comunicação

As comunicação também terão uma importância vital. O polo norte de Titã tem que estar apontado para a terra, para que as comunicações sejam feitas de forma direta. Porém, esse alinhamento só voltará a acontecer no ano de 2040.
Para realizar a missão antes disso, uma outra espaçonave poderia ficar orbitando Titã para receber os dados do submarino e repassá-los à Terra. Isso possibilitaria o lançamento da missão a qualquer momento, mas também aumentaria consideravelmente seus custos.
A fonte de energia para as espaçonaves também é um problema crucial. Missões espaciais que ocorrem além do cinturão de asteroides estão longe demais para usar a energia solar. Elas precisam usar combustível nuclear baseado em plutônio.
Lorenz disse que se o projeto TiME tivesse sido levado adiante, poderia ser lançado em pouco mais de um ano.
A maior lua de Saturno continua a fascinar e inspirar – o que tornaria o retorno a ela inevitável. E quando isso ocorrer, é bem provável que seja com um submarino.

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