quarta-feira, 16 de dezembro de 2015

Natale 2015 con la luna piena, non accadeva dal 1977

Succederà ancora nel 2034


Natale 2015 con la luna piena, non accadeva dal 1977Natale 2015 con la luna piena, non accadeva dal 1977
Il cielo di Natale regalerà una bellissima luna piena: non accadeva da 38 anni, esattamente dal giorno di Natale 1977, e la prossima occasione ci sarà soltanto fra 19 anni, nel 2034. ''E' un appuntamento suggestivo e una coincidenza curiosa, che dal punto di vista scientifico non riveste un'importanza particolare'', osserva l'astrofisico Gianluca Masi, responsabile del Virtual Telescope.

Sicuramente non è un evento frequente, prosegue Masi, considerando che dal 1900 al 2099 i giorni di Natale con la luna piena sono appena otto. Un 'assaggio' di luna piena ci sarà già a partire dalla sera della vigilia di Natale, mentre il culmine del fenomeno è previsto per le 12,15. In pieno giorno, quindi, anche se le giornate in questo periodo dell'anno sono così brevi che ''il giorno di Natale vedremo comunque sorgere la luna piena a distanza di poche ore dal culmine", osserva l'astrofisico. "Lo spettacolo - aggiunge - è assicurato in pieno giorno durante il Natale".

Non sarà l'unica sorpresa della Luna a ridosso del Natale: nella notte del 23 dicembre la Luna giocherà ancora una volta 'a nascondino' con la stella Aldebaran, come aveva fatto a fine ottobre. "La occulterà per la seconda volta, offredo uno spettacolo suggestivo", rileva Masi.

Unica nota negativa: con la sua luce brillante la luna piena ruberà la scena alla cometa di Natale, Catalina: chi avrebbe voluto osservarla nella notte della Natività dovrà cambiare programma e aspettare qualche giorno.

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L'acqua dei giganti 'alieni' 'nascosta' dalle nubi

Rappresentazione artistica di dieci pianeti giganti  (fonte: ESA/Hubble & NASA)Rappresentazione artistica di dieci pianeti giganti (fonte: ESA/Hubble & NASA)
Sono le nubi e le polveri contenute nell'atmosfera a nascondere l'acqua presente nei grandi pianeti simili a Giove esterni al Sistema Solare: è questa la soluzione di un mistero che gli astrofisici cercavano di risolvere da anni. Pubblicata sulla rivista Nature, la scoperta chiarisce finalmente che fine abbia fatto l'acqua che, secondo calcoli e osservazioni, avrebbe dovuto trovarsi sui pianeti giganti che in altri sistemi solari ruotano vicinissimi alla loro stella.

I ricercatori dell'università britannica di Exeter, coordinati da David Sing, ha messo a confronto le differenti immagini dei pianeti catturate dai telescopi spaziali Hubble e Spitzer, entrambi della Nasa. I risultati riescono inoltre a far luce sulla nascita dei pianeti giganti.

Sebbene nel nostro Sistema Solare non esistano, attorno a molte stelle è facile osservare pianeti gassosi molto grandi, anche una decina di volte Giove, ma che si trovano vicinissimi alla loro stella, molto più di quanto lo sia Mercurio al Sole. Proprio per questa vicinanza questi giganti hanno temperature molto elevate e perciò sono indicati con il termine di 'Giove caldo'. Molte delle caratteristiche di questi giganti bollenti sono ormai state comprese, ma rimaneva misterioso il fatto che alcuni di essi appaiono ricchi di acqua, mentre altri ne sono quasi completamente privi.

Un vero rebus che i ricercatori britannici hanno risolto mettendo a confronto i dati di 10 giganti caldi visti attraverso gli occhi sia di Hubble che di Spitzer. I due telescopi vedono infatti due lunghezze d'onda differenti: il primo nella luce visibile mentre il secondo nell'infrarosso. Con un meticoloso lavoro di comparazione i ricercatori hanno identificato la presenza di nubi nei pianeti con poca acqua. I Giove caldi avrebbero tutti una composizione simile, ma in alcuni di essi un'atmosfera ricca di nuvole e polveri farebbe da filtro, impedendo agli astronomi di individuare l'acqua.


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Osservata la galassia che ha 'schiaffeggiato' la Terra

Rappresentazione artistica di un gigantesco buco nero attivo al centro di una galassia (fonte: M. Weiss/CfA)Rappresentazione artistica di un gigantesco buco nero attivo al centro di una galassia (fonte: M. Weiss/CfA)
Dopo mesi di ricerche è stata osservata nel dettaglio la galassia che nell'aprile scorso ha 'schiaffeggiato' la Terra con la violentissima esplosione di raggi gamma generata dal buco nero che ne occupa il cuore.
L'esplosione era stata vista in aprile dal telescopio spaziale Fermi della Nasa, nel quale l'Italia ha una collaborazione importante, e in seguito la galassia è stata individuata e studiata da Terra, dal telescopio Veritars in Arizona e dal telescopio Magic (Major atmosferica Gamma-ray Imaging Cherenkov), il più grande osservatorio di raggi gamma al mondo, che si trova nelle Canarie, a La Palma.

Anche in queste osservazioni, pubblicate sull'Astrophysical Journal Letters e coordinate da California Institute of Technology (Caltech), l'Italia ha avuto un ruolo importante con Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), Agenzia Spaziale Italiana (Asi), Istituto Nazionale di fisica Nucleare (Infn) e università di Udine.

I raggi gamma che hanno colpito la Terra sono tra i più antichi mai rilevati e il loro è stato un viaggio lunghissimo, durato per circa la metà dell'età dell'Universo. ''Comprendere le caratteristiche di questi fenomeni non è un'impresa semplice'', rileva Fabrizio Tavecchio, dell'osservatorio di Brera dell'Inaf. Ora, prosegue, ''conosciamo meglio cosa succede nelle galassie attive più lontane''.

La galassia che ha generato l'esplosione di raggi gamma si chiama PKS 1441 + 25, ed è un oggetto molto raro chiamato blazar, cioè una galassia che al centro ospita un buco nero circondato da un disco di gas caldi e polveri. Quando il materiale del disco precipita verso il buco nero, viene incanalato in due getti che sono scagliati verso l'esterno come l'acqua da un idrante, solo molto più velocemente, quasi alla velocità della luce. Uno di questi getti è rivolto quasi nella direzione della Terra e l'esplosione che ha generato i raggi gamma è avvenuta al suo interno, ma sorprendentemente in un punto molto lontano dal buco nero, distante almeno a 5 anni luce.

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